
VINCENZO VAVUSO
Il cammino artistico
Vincenzo Vavuso è un artista residente a Salerno, pittore e scultore.
Oltre che dalle lezioni dei maestri d’arte, è stato stimolato e ispirato dall’emozionante impatto visivo con la Costa d’Amalfi e con i paesaggi straordinari che contornano il Salernitano. Anche per questo il suo primo amore è stato per la pittura figurativa e paesaggistica dell’800 e per i fermenti di avanguardia del primo Novecento.
I frutti delle sue ricerche sono stati poi raccolti nel volume La pittura: l’espressione di noi stessi (Ed. Terra del Sole”, 2013).
Contestualmente, Vavuso ha concretizzato il transito verso un nuovo linguaggio artistico, che in un primo tempo si concentra sulla produzione di opere figurative, poi su opere informali con forti elementi materici e con rappresentazioni naturalistiche e/o cosmiche, che narrano il lirico smarrimento dell’uomo nel Tutto.
Infine egli ha effettuato la scelta di campo dell’Arte realistico-concettuale, con un impegno che coniuga esigenze estetiche e sociali e nello stesso tempo non perde mai di vista le potenzialità di comunicazione.
È nato così il ciclo Rabbia e Silenzio, incentrato in gran parte su cromostrutture e pittosculture dal sapore realistico, con un messaggio forte e provocatorio.
Le esposizioni
Le sue opere sono collocate in permanenza in Musei, enti istituzionali ed importanti collezioni private.
La fondazione del MARIC
Il M.A.R.I.C (Movimento Artistico per il Recupero delle Identità Culturali), è un movimento artistico culturale che coinvolge pittori, scultori, letterati, poeti, musicisti, performer, attori, fotografi ed altre figure creative.
Le opere, i documenti e le iniziative che il Movimento produrrà avranno come filo comune la polemica contro l’Indifferenza e l’Ignoranza, che in questi tempi oscuri sembrano avvolgere Arte, Lettura, Letteratura, Cultura e la promozione dei valori che esse possono esprimere.
Recentemente, sempre nel nome del MARIC, Vavuso ha aperto altri due fronti di notevole portata: la colorazione d’Arte dell’arredo urbano della cittadina di Curti (Caserta) e l’esposizione permanente di opere d’Arte nelle sale d’onore della prestigiosa Tenuta San Domenico (Sant’Angelo in Formis – Caserta).
Le opere
Fiore Mediterraneo
L’opera Fiore Mediterraneo è un olio su tavola, anno 2007. Ai margini, a mo’ di cornice, si stagliano e nello stesso tempo si aprono al movimento strati di dominante marrone, come ad indicare non solo la terra come fondo delle radici ma anche la terra madre che ci accoglie nel suo grembo e ci avvolge nell’aria. All’interno di questo involucro, in uno slancio quasi alternato di chiari, di sprazzi azzurrini e tonalità di verde intorno a sterpi secchi color legno, spunta una pianta, non fiorita o forse non ancora fiorita. L’opera, di bell’impatto visivo nelle sue armoniche disarmonie, appartiene a quel filone astratto attraverso cui il Maestro Vavuso trasfigura nel colore e nella vaghezza delle forme il suo slancio verso la creazione artistica e il sogno di una liberazione delle energie personali e sociali. Come spesso succede nelle astrazioni di Vavuso, all’interno delle informalità di linee e colori, si intravedono figure chiaramente evocative del reale, che volta per volta contribuiscono a far emergere dalle pittoriche vaghezze un messaggio più chiaro e più forte. In questo caso, lo spuntare del fiore mediterraneo, nel contrasto tra i colori chiari della pianta e quelli scuri e/o oscuri della terra, vuole esprimere il grido di dolore contro quelle forze morali e sociali che ottundono la liberazione del nostro spirito e la necessità di una palingenesi attraverso lo spuntare di nuovi germogli. È una “rinascita” faticosa e fortiera di lotta e di tensione. È una rinascita che, se riesce a far spuntare gli steli, non è ancora in grado di far nascere i petali. La forza del fiore nascente sembra però in grado di avere la meglio, per cui la pianta non appare come quella di un fiore soffocato ma quella di un fiore che sta nascendo, o rinascendo, nonostante il potenziale “soffocamento”. E quindi l’opera intera assume il sapore poetico di caldo sussurro di speranza.
Cosmo
L’opera, un olio su tela risale all’anno 2005. Presenta una diffusa dominante di azzurro, con leggere increspature di tipo materico. Questa base azzurra è separata longitudinalmente da un taglio di luce chiara intrisa di verde, a mo’ di stella cometa. In alto, al centro, una concrezione giallina evoca la figura di un uccello. Essa, anche a giudicare dal titolo, è collocabile nella cosiddetta “fase cosmica” dell’artista, che con tratti informali e evocazioni materiche mira a rappresentare il caos, ora calmo ora tempestoso, che caratterizza l’universo, e ad evocare l’energia ad esso sottesa. Un’energia che, a prescindere dalla dimensione religiosa, ha la sua origine in un oltre misterioso. Tale sembra anche il messaggio dell’opera: il taglio centrale fa pensare alla Via Lattea, la figura in alto alla fonte primaria oppure ad un occhio creatore o anche ad un punto di vista superiore. L’effetto scenico della dimensione universale e della nostra collocazione nel tutto è favorito anche dall’informalità dei segni, che però, ad un occhio più vigile ed attento, nelle opere di Vavuso non è mai assoluta. In questo “Cosmo”, consciamente o inconsciamente, lo sfondo di base evoca l’Italia nel Mediterraneo e in rapporto alle adiacenze africane e asiatiche. E qua e là, anche all’interno della “cometa di luce” che fa da taglio, si intravedono sagome che sembrano ectoplasmi di umanità. Non sono presenze inquietanti, però. Il tutto genera uno stordente vento dell’anima, come può capitare ogni volta che ci sentiamo gocce dell’infinito e percepiamo che in fondo ci è “dolce naufragare in questo mare”.
Senza Remore
L’opera olio su masonite che risale all’ anno 2010, presenta un movimento turbolento e violento di forme e colori, con il bianco, il nero e il rosso dominanti pressoché assolute. Solo in una angolino a sinistra in basso fa capolino uno squarcio di viola. La direzione del movimento, pur se non totalizzante, è da sinistra verso destra, e le linee che si formano nello slancio, nonostante la forza propulsiva, si mantengono in gran parte regolari, tanto da sembrare contemporaneamente figlie dell’esplosione cinetica e binario della sua energia. L’opera va inserita nel filone informale e astratto, attraverso cui il Maestro Vavuso, nel pieno della sua ricerca espressiva dell’indicibile attraverso il colore e la scomposizione, mette in primo piano il furore della creazione artistica e l’inquietudine esistenziale. Proprio la duplice valenza della linee dà tono e significato al messaggio emergente nell’immediato impatto visivo. Ribollente è il magma che si agita nell’animo dell’artista, ma altrettanto forte è il suo bisogno di tenerlo sotto controllo per vivere la catarsi liberatoria entro limiti certi. Se si volesse tradurre in parole concrete questo lavoro di pura astrazione, si direbbe che l’artista vuole da una parte sfogare “senza remore” la sua protesta e la sua rabbia contro i freni, le ipocrisie, le colpevoli apatie di una società troppo arida per i suoi gusti, dall’altra vuole che la sua protesta non si perda nel nulla, ma abbia degli obiettivi non indefinibili, pur se non ancora definiti. Da qui la necessità di una canalizzazione: contro una protesta anarchicamente sterile, a favore di una polemica forte e costruttiva verso un alternativa reale. Questo rivela un importante ruolo della razionalità, ma il motore primo della scena rimane il rifiuto emozionale del negativo che ci circonda: è da qui che nasce il furore creativo tanto coinvolgente che caratterizza quest’opera.
Turbolenza
Al centro della scena l’opera (olio su tavola) presenta un incontro turbolento e violento di forme e colori, soprattutto il nero, l’azzurro scuro e il violaceo, che si avvinghiano tra loro come alla ricerca di uno sbocco. Sullo sfondo, le propaggini di un disco giallo, quasi un sole distaccato, lontano anche se tanto vicino, gigantesco eppure non esente dal rischio di essere inghiottito dalla turbolenza dello scontro. L’opera va inserita nel filone informale e astratto, attraverso cui il Maestro Vavuso, nel pieno della sua ricerca espressiva dell’indicibile attraverso il colore e la scomposizione, mette in primo piano il furore della creazione artistica e l’inquietudine esistenziale. Quest’opera, di forte impatto visivo per l’irregolare incrocio e il movimento inesauribile delle forme, esprime pienamente il magma che si agita nell’animo dell’artista, ma anche il suo bisogno di tenerlo sotto controllo per vivere la catarsi liberatoria entro limiti certi. Infatti, nonostante queste forme informi guizzino da tutte le parti, la rappresentazione sembra quasi avere un centro focale, perché le lingue di colore agiscono all’interno di uno spazio tendenzialmente circolare e senza evidenti aperture. A predominare sono i colori scuri, in una dominante quasi violacea: appaiono gravidi di energia, impegnati come sono in una lotta interiore titanica e contraddittoria, in cui alla fine trionfa la voglia di esplodere in un grido disarmonico, doloroso ma impregnato dello slancio vitale che l’artista sente sempre più forte dentro di sé. Contemporaneamente i colori e le tonalità più chiare, collocati ai limiti del nodo cromatico, aprono verso l’esterno in uno spirito di afflato cosmico ancora tutto da esplorare, ma tale da rappresentare un granello di speranza in quella conquista dello spazio creativo che finisce con l’assumere una valenza fortemente esistenziale.
Delfini
L’opera, un olio su tela, risale all’anno 2005. Rappresenta una doppia dimensione cielo mare di colore azzurro, separata longitudinalmente dalla convergenza della spuma chiara di due onde convergenti da direzioni opposte ed in procinto di esplodere in un urto tempestoso. Sotto la superficie dell’acqua, si intravedono sagome chiaroscurali di delfini pronti ad affiorare nel gran salto, per andare oltre la superficie del mare e tendere verso il cielo, dove già volano in libertà altri uccelli, evocati da aeree sagome nereggianti. L’opera risale a quel filone astratto attraverso cui il Maestro Vavuso, che pure nelle opere degli ultimi anni ha prediletto la forza della struttura concettuale, trasfigura nel colore e nella vaghezza delle forme il personale furore umano e creativo e l’ aspirazione ai voli dell’anima. Il dipinto è di immediato impatto visivo sia per la chiara evocazione dello scenario marino, sia per il movimento delle linee e le suggestive variazioni della dominante azzurra, che collega idealmente e materialmente le acque ed il cielo soprastante. Pur avendo un centro focale, la rappresentazione non si esaurisce nella scena. I guizzi chiari degli spruzzi d’onda, lo slancio dei delfini verso l’alto, le tonalità degli azzurri a pelo d’acqua e nell’immediata sottosuperficie marina, grazie anche all’incrinatura nella zona centrale, ribollono in un fremito che preannuncia un’esplosiva scomposizione degli elementi, pronta tuttavia, dopo lo scoppio e/o il salto, ad una successiva e più ordinata ricomposizione. Lo scenario, apparentemente naturalistico, è anche prefigurazione di uno stato d’animo che nel ribollire negli elementi e nell’affiorare dei delfini, cui fanno da contraltare i voli dei pur radi uccelli nel cielo, esprime la tensione ribollente dell’artista nel momento della creazione e, nel contempo, dell’uomo quanto sente forte l’energia vitale che dentro lo strugge. È una tensione costruttiva, perché dall’interiore caos primigenio attraverso l’esplosione magmatica dell’onda tempestosa si può poi generare il volo verso le conquiste della creatività e del gabbiano che l’artista in particolare, e l’uomo in quanto tale, sentono vivo dentro di sé. E così il microcosmo che si agita in noi si sublima nel celeste macrocosmo in cui ci sentiamo naturalmente collocati.
Animo Inquieto
L’opera si colloca nel momento in cui il Maestro Vavuso, in preda agli “astratti furori” della sua ricerca espressiva dell’indicibile attraverso il colore, predilige appunto la pittura astratta. Quest’opera, di forte impatto visivo per la varietà ed il movimento delle linee e dei colori, esprime pienamente il magma che si agita nell’animo dell’artista. La rappresentazione non ha un centro focale e non si esaurisce, perché le cromie guizzano in tutte le direzioni e con tutte le tonalità, in una mescolanza frenetica indistinto di chiari e di scuri. Ad uno sguardo più attento, ci si accorge che a predominare sono i colori forti e gravidi di energia, come il rosso, il giallo ed il verde, che emergono come vincitori da una lotta interiore titanica tra salti di forza e spirito in caduta, in cui alla fine trionfa la voglia di esplodere in un grido cromatico disarmonico, ma ben direzionato verso la vita e l’affermazione dello slancio vitale che l’artista sente sempre più forte dentro di sé. Contemporaneamente la luce cromatica si apre verso l’esterno in uno spirito di afflato cosmico ancora tutto da esplorare, ma tale da rappresentare una piccola grande stella polare per il terzo occhio da cui l’artista sembra lasciarsi guidare.
La tela del regno
Titolo opera: La tela del regno Anno: 2015 Tecnica: Fusione e cristallizzazione Dimensioni: cm 70x100x2 cm L’opera è una delle prime della nuova serie creativa di Vincenzo Vavuso, denominata Spider Art, con richiamo alla ragnatela che ci avvolge ma anche alla nostra possibilità di tessere ragnatele creative e costruttive in nome dell’Arte. È l’evoluzione ideale alla serie “Rabbia e Silenzio”, che intende denunciare il violento attacco a cui sono sottoposte le qualità migliori dell’Uomo: la sua Dignità, la sua Creatività, la capacità di produrre Cultura, di vivere attraverso la sensibilità il sogno dell’ Arte. Simbolo di questa serie è l’alternanza tra bianco e nero, come a dire la possibilità di scelta dell’uomo tra luce ed ombra, tra coscienza della coscienza e accettazione dell’incoscienza. In quest’opera si richiama l’idea dello scontro tra bianco e nero, ma con la possibile vittoria del bianco, che ha quasi accerchiato il nero e dona la speranza di poterlo definitivamente sconfiggere, essendo cominciato il lavoro di erosione anche rispetto alla cornice. Il tutto avviene però in forma di tela di ragno, quindi con lentezza, sia pur con decisione, e con la sospensione nel vuoto in cui l’artista percepisce la vita dell’attuale società, tanto è vero che la mancanza della tela crea buchi reali ed il bianco di cui si è parlato assume identità e colore solo se trova il punto d’appoggio, nel nostro caso su una parete necessariamente bianca. Il titolo è un gioco di parole che richiama, come già detto, la tela del ragno, inserendo però il termine assonante “regno”, che evoca l’idea e la speranza di un nuovo mondo in cui regnino finalmente la Cultura e l’Arte e sia affermata in pieno la dignità dell’Uomo. E non si debba più combattere “in sospensione”. Descrizione: Cromostruttura di cm 70 x 100 x 2 , formata da un rettangolo di fili materici intrecciati con larghezza, la maggior parte dei quali, soprattutto quelli esterni, con sfondo bianco, mentre un nucleo più resistente, su sfondo nero, è concentrato a chiazze verso il centro. La cornice, nera, si sviluppa, ma non si completa negli angoli laterali. L’intero rettangolo è come sospeso, senza una tela d’appoggio, grazie anche all’effetto dei fili di materia fusa e cristallizzata.
Il sonno della ragione
Anno: 2014 Tecnica: Cromostruttura Dimensioni: cm 38x76x46 cm Come gli altri lavori della serie “Rabbia e Silenzio”, Il sonno della ragione intende denunciare il violento attacco a cui sono sottoposti sia la Natura, qui rappresentata dalla ramificazione arida e bruciacchiata, sia la Cultura, la Conoscenza e l’Arte, qui simboleggiate dalle pagine di libro. Esse sono deformate, distorte, soffocate dall’Indifferenza e dall’Incultura e, nel momento in cui oltre le aggressioni traspaiono i segni della trascorsa e naturale Grandezza delle due entità, la scena si trasforma in una grottesca deformazione del Bello allo stato puro. Non solo disperazione o denuncia, però. Gli occhiali collocati sul libro nella loro frantumazione esprimono l’autolesionistico atteggiamento dell’uomo che così facendo si impedisce di “vedere”, ma nello stesso tempo, attraverso la conservazione di una lente, pur se lesionata, rappresentano la possibilità e la speranza che l’Uomo, recuperando la ragione, possa tornare finalmente a “vedere” , recuperando la sua naturale Dignità Il titolo è un esplicito richiamo alla celebre frase di Goya “Il sonno della ragione genera mostri”. In questo caso il “mostro” è rappresentato dalla negazione autolesionistica ed irrazionale che l’Uomo opera rispetto alle potenzialità positive della Natura e della Cultura, strumento assoluto della Dignità e della facoltà della Conoscenza, che permettono all’uomo di essere tale, distinguendosi dagli altri esseri animati. Descrizione: Cromostruttura di cm 76 x 46 x 38, formata da un frammento di albero deformato, ricurvo, dalle cui estremità si stendono piccoli virgulti. A destra, i rami si protendono verso l’alto, quasi a cercare aiuto, a sinistra, su uno strato meno accidentato sui legni è poggiato un libro aperto, bruciacchiato e gualcito, sulla cui estremità, quasi in sospensione sulle onde delle pagine, si trovano i resti di un paio di occhiali, con un cerchio vuoto ed un altro regolarmente fornito di una lente, che però è frantumata in più punti.